La tesi fondamentale dello storicismo, invece, consiste nello stabilire la verità di una filosofia sulla base della sua adeguatezza ad un determinato periodo e ad un determinato compito storico. In questo modo, almeno implicitamente, si nega la validità perenne del vero. Ciò che era vero in un'epoca, sostiene lo storicista, può non esserlo più in un'altra. La storia del pensiero, insomma, diventa per lui poco più di un reperto archeologico a cui attingere per evidenziare posizioni del passato ormai in gran parte superate e prive di significato per il presente. Si deve considerare, al contrario, che anche se la formulazione è in certo modo legata al tempo e alla cultura, la verità o l'errore in esse espressi si possono in ogni caso, nonostante la distanza spazio-temporale, riconoscere e come tali valutare.
Nella riflessione teologica, lo storicismo tende a presentarsi per lo più sotto una forma di «modernismo». Con la giusta preoccupazione di rendere il discorso teologico attuale e assimilabile per il contemporaneo, ci si avvale soltanto degli asserti e del gergo filosofico più recenti, trascurando le istanze critiche che, alla luce della tradizione, si dovrebbero eventualmente sollevare. Questa forma di modernismo, per il fatto di scambiare l'attualità per la verità, si rivela incapace di soddisfare le esigenze di verità a cui la teologia è chiamata a dare risposta.
Estratto da Giovanni Paolo II, Fides et Ratio (1998), n.87